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Sogni Neri 

Cronache della città di Torino

 

Le fotografie della mostra sono tutte state scattate negli anni 2003-2004 

nei cantieri del metrò di Torino, non per documentare l’avanzamento dei lavori, come si sarebbe fatto nell’800, ma per riflettere su emozioni istintive: oggi ci sono città, assediate, bombardate, occupate, che sono così, e ancora, se Torino dovesse mai essere assediata, bombardata, occupata, sarebbe così.

Non si è trattato di cercare riscontri precisi, ma nemmeno si è trattato di astrazioni, di metafore, solo più semplicemente e direttamente si è trattato di dire: "queste immagini le ho già viste...sui giornali, alla televisione, me le porto dentro e per questo le ho riconosciute, mi parlano di un presente doloroso che mi circonda in modo sempre più stretto, un constant sorrow (Dylan) che credo non andrà mai più via...quando a Parigi hanno rastrellato gli ebrei al Velodrome d’Hiver ero piccolo, quando a Budapest i carri armati marciavano sotto i viali di ippocastani, quando in Cile hanno rastrellato i comunisti allo stadio, ho continuato a farmela bene, a non pensare a niente... adesso è come se avessi sviluppato un sesto, che ‘sente’ in una immagine l’eco visiva di un’altra immagine, di una catena di immagini, che collegano le cose e mi aiutano a ricordare, a capire.

Dopo, girando per i cantieri , è affiorato l’eco delle letture, a partire da quelle di Agota Kristof, e di qui l’idea di cercare in altri testi tracce di questo sogno ‘nero’, della ‘guerra in casa’, con una ricerca paziente che ha dato frutti per me sorprendenti, come questo recente: "se davvero si vuol conoscere un’epoca, bisogna studiarne gli incubi ricorrenti, molte cose si chiariranno alla luce delle nostre paure più cupe..."(William Gibson)

Reticolati, sbarramenti, fenditure, crateri, e dappertutto macchine come grandi bestie di ferro: bestie con tozzi arti cingolati e lunghi arti snodati con in cima mani unghiute che puntano minacciose contro i portici o buttano all’aria selciati di pietre massicce e giardini secolari, o bestie con lunghi tendini d’acciaio raccolti su grandi ruote e braccia scheletrite con pugni d’acciaio che percuotono il suolo schizzando fango dappertutto. Il centro storico, immagine della dolcezza di vivere costruita nel tempo dalla convivenza civile, è irriconoscibile, e la gente , a piedi o in macchina, si muove adagio, destreggiandosi tra gli sbarramenti senza interesse né curiosità, come avesse paura di guardare.

In una delle sue corrispondenze da inviato speciale alla vigilia della 2° guerra mondiale, Hemingway, in visita al cantiere di un aereoporto che i cinesi stanno costruendo in previsione dell’arrivo degli aerei americani, attraverso il polverone assiste ad uno spettacolo esaltante: squadre di uomini con nugoli di bandierine colorate - come nei film di Kurosawa - spianano a mano il terreno roccioso di uno spiazzo immenso.

Invece queste immagini non hanno niente di esaltante, richiamano altre immagini, tutte deprimenti: le case di Parigi sventrate dalle demolizioni - ma potrebbero essere state le bombe dei tedeschi - nelle foto di Atget; i viali di Budapest coi carri armati russi sotto gli ippocastani o il caos generato dal modo di produzione industriale nelle foto di Koudelka; la Beirut crivellata e deserta di Basilico o Depardon; ma più ancora richiamano le immagini squallide che da anni ormai vediamo quasi tutti i giorni nel telegiornale: immagini di città assediate, bombardate, occupate - come Sarajevo, come Jenin - in guerre senza un fronte, incomprensibili e miserabili. Di qui forse viene il senso di oppressione, che non ha in realtà una ragione vicina e precisa , per questi reticolati, queste barriccate, per questi crateri che si aprono dappertutto, come nelle storie ‘nere’ della città di K. di Agota Kristof, per queste crepe, che si allargano ogni giorno di più, come nel film ‘Repulsion’ di Polanski; perchè come canta Dylan "cattive notizie, cattive notizie, vengono da me mentre dormo".

Dieci anni fa Mario Giacomelli, fotografo, diceva "adesso mi è più difficile fotografare..ho dentro questa idea, questa paura di guerra e voglia di fare cose reali, importanti..stiamo vivendo in un momento in cui la realtà sembra quasi un film, si parla di guerra come se fosse un programma pubblicitario, uno spettacolo televisivo.. la voglia che ho di essere presente dove sta accadendo qualcosa di grave fa trasformare questa luce bella, magica, divina, in una luce strana, tragica..".

In uno scritto giovanile Wim Wenders dice "...l’America ha colonizzato il nostro inconscio..": lui pensava ai film, alla musica, ma oggi lo si può dire dell’idea di una guerra continua, che arriva fin dentro le nostre città, le nostre case, idea che, attraverso media pervasivi ha colonizzato il nostro inconscio, fino a rendere accettabile le militarizzazione della vita quotidiana; una conferma sembra venire dalla convergenza di scritti di autori diversi che sognano tutti lo stesso sogno ‘nero’, lo stesso che è all’origine delle fotografie.

 

La guerra dei mondi.( H.G.Wells ). 1897

E’ la storia di una guerra ‘inventata’ in un paese reale - alieni da Marte contro gli inglesi in Inghilterra - con un lieto fine. Sono molti i passaggi in cui si trovano sorprendenti coincidenze con le foto, forse perchè tutti e due parlano di macchine antropomorfe.

 

La vita e il tempo di Michael K. (J.M.Coetze). 1983

Il breve testo sulla copertina informa che nel romanzo si parla di "...un paese stretto nella morsa di una guerra le cui ragioni sono oscure, col suo sinistro corredo di convogli militari nelle strade, di campi di lavoro e di rieducazione dietro il filo spinato..." .

 

Nel paese delle ultime cose. ( Paul Auster ). 1987

Il breve testo nella copertina spiega che il romanzo riguarda una terra ‘innominata e devastata’, ma che può essere considerato ‘il romanzo del ventesimo secolo’ per i richiami evidenti ai nostri anni recenti: macerie, barricate, segnali, sono parole ricorrenti nella storia di Auster come sono immagini ricorrenti nelle foto, così come il passaggio sullo sguardo e sul caso sembra scritto per illustrare lo strano ‘metodo’ di questa ‘campagna’.

 

Il Centenario. (Oddone Camerana). 1997

"...le città abbandonate e le città assediate sono simili..." pensa l’uomo che cammina solo in una città deserta (che è riconoscibilmente Torino ) "...perché non importa se la violenza viene dall’esterno o dall’interno..."; pensieri come questo sono stati all’origine della ‘campagna’.

 

La camera oscura; ( Rachel Seifert ). 2001

E’ la storia di una guerra reale, in una città reale - la Berlino assediata negli anni ‘40 - con un finale lasciato in sospeso, quasi lieto: compare qui perché al centro della storia ci sono i rapporti intrecciati tra guerra, città, vita quotidiana e fotografia.

 

Eva. (Nicoletta Vallorani). 2002

Una città reale - Milano - che evoca la Los Angeles di Blade Runner o la New York di Jena Plinsky, un ex terrorista lavora a ricostruire dalla scena dei crimini il profilo dei serial killers.

 

Ada d’ambra. (Bukel Uzuner)

Questo è il romanzo in cui più apertamente si parla di ‘guerra civile’ come di una condizione diffusa oggi, affermazione confermata dalla citazione iniziale di H.M. Enzenberger:"..in verità la guerra civile è entrata nelle metropoli da molto tempo. nelle grandi città, dove le metastasi sono ormai diffuse, essa ha preso il suo posto nella vita quotidiana..". Sorprendenti le concidenze tra le metafore verbali del testo e quelle visive delle foto.

 

Millenium people. ( Ballard). 2004

In una Londra reale, il malessere di una borghesia disillusa diventa ribellione prima strisciante e poi aperta perchè "..la gente sa che la sua vita è inutile e si rende conto di non poter fare niente in proposito, o quasi niente.. c’è un bisogno profondo di gesti gratuiti e più sono violenti meglio è.."

 

Sarajevo voci da un assedio. Anna Cataldi. 1993.

Le lettere raccolte nel libro, gli incubi metropolitani che esse raccontano, non sono opera ‘di fantasia’ di uno scrittore: qui è tutto vero, sono vere le persone, vera la città, veri i tempi, i luoghi, i fatti, tutti chiamati con il loro nome, non c’è mistero, non c’è la ricostruzione fantastica di un mondo che distingue la letteratura dal diario, dal reportage. Perchè allora questa eccezione? Perchè in uno dei libri - ‘Il paese delle ultime cose’ di Paul Auster - che adotta la struttura della lettera, si avverte lo stesso tono, piano e dolente: la lettera vera e la lettera ‘letteraria’ diventano indistinguibili.

Come le immagini della mostra sono solo una parte delle immagini della ‘campagna’, così le citazioni dai libri sono solo una parte dei testi utilizzati per costruire insieme alle immagini una mostra di tipo nuovo , nella quale le immagini non illustrano il testo ed il testo non commenta le immagini, ma tutti e due insieme, in equilibrio instabile, vogliono stimolare una riflessione sul tema della costruzione degli immaginari collettivi oggi, che sia fatta con le parole o con le foto.

Per questo si rimanda ai libri interi e si segnalano altri testi che non compaiono nella mostra per ragioni diverse, ma che hanno contribuito a dare forma a questo progetto, ancora aperto a raccogliere nuove immagini, a raccogliere nuove parole da altri libri.

 

La guerra nell’aria. H.G.Wells. 1908.

Su uno sfondo reale: Londra, New York, le nuove armi di massa, Wells anticipa in modo sorprendente lo scoppio della prima guerra mondiale, ma ancor più il ruolo della guerra aerea, l’attacco dal cielo alle grandi città, la comparsa nel cuore della quotidianità di una minaccia improvvisa e devastante che segnerà la seconda guerra mondiale e quelle successive.

 

Le grand cahier. Agota Kristof. 1986.

La Piccola Città di K è diversa dalla Grande Città di T. delle fotografie, e per questo non ci sono accoppiate citazioni e immagini, ma il programma letterario si potrebbe definire l’equivalente della straight photography "...attenersi alla descrizione degli oggetti, degli esseri umani, di sé stessi, vale a dire alla descrizione fedele dei fatti...". La storia si svolge in un tempo sospeso, in una città senza nome, in un paese senza nome, percorso da colonne di soldati, di carri armati, cannoni, camions, carri, di prigionieri di guerra, di vinti: un caos nel quale due gemelli terribili, rimasti soli, vivono impassibili la loro ‘storia di formazione’.

 

Città panico. Paul Virilio. 2004.

Se dal testo della Kristof è venuta la spinta iniziale per questo lavoro, una conferma è venuta, alla fine, dal saggio che dà il titolo al libro: Virilio osserva che "...è nella città che è stata testata nel 2O° secolo la GUERRA AI CIVILI..." così che "...la città torna ad essere una cittadella, in altre parole un bersaglio per tutti i terrori domestici e strategici...". Virilio richiama poi l’attenzione sulla "...diffusione ininterrotta di immagini terrorizzanti: ‘stato d’assedio’ dello spirito del telespettatore, il cui risultato più evidente è l’ascesa di questa psicosi OBSIDIONALE, che colpisce le popolazioni nell’era della globalizzazione..." ed ancora sulla strategia di "...amministrazione della paura pubblica..." che prevede che oggi "...si analizzi a casa propria, e non più a quella del nemico, la quantità di terrore sopportabile dalle folle metropolitane...".

 

La grande madre rossa. Giuseppe Genna. 2004.

La città è reale e nota: Milano, l’incubo metropolitano è quello reale e noto di un attentato come quelli di New York, di Madrid, di cui però sono ignoti a tutti - cittadini ed autorità -gli autori e le motivazioni.

 

Attacco all’America. Philip Roth. 2004.

Il paese è reale, l’America; la città è reale, Newark, il tempo è ‘storico’, i primi anni ‘40: con piccoli progressivi spostamenti dei dati reali Roth rende credibile la minaccia crescente che trasforma le pacifiche certezze della vita quotidiana di un bambino ebreo in un’incubo senza fine nel quale persino il letto da luogo di conforto diventa luogo di paure.