Sisto Giriodi

 

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Uomo e natura. Dieci fotografie e qualche pensiero. Sisto Giriodi

Il titolo della mostra è molto generale, come il titolo di certi temi che fanno contenti gli studenti perché riescono comunque a trovare qualcosa da dire; per questo sembra a prima vista un titolo ‘pacifico’, mentre a ben guadare può sollevare domande: sull’uomo, sulla natura, sulla fotografia.

Tra la parola uomo e la parola natura c’è una congiunzione, che sembra dare per scontato il rapporto tra l’uomo e la natura come una coesistenza pacifica: la natura come amica perché consente la vita dell’uomo sulla terra, la natura e l’uomo come modelli di tutte le bellezze, quindi solo da copiare, celebrare, ma ci sono molte ragioni per mettere in dubbio questo quadro idillico.

Il tema uomo e natura può essere visto come un capitolo della storia della fotografia: tema carsico, che affiora e scompare per riaffiorare, tema obbligato agli inizi, perché la natura stava ferma e permetteva così le lunghe pose allora obbligatorie, e poi declinato in modi diversi, variabili al variare degli interessi del pubblico della fotografia: dai modi ‘documentari’ dei fotografi-topografi dell’800, a quelli più ‘artistici’ dei fotografi contemporanei.

Anche oggi nella marea di fotografie scattate e poi raccolte in libri, riviste, mostre, il tema uomo e natura è tema presente con immediata evidenza, insieme a quelli dei ritratti, dello sport, come confermano i pieghevoli pubblicitari ed i programmi delle macchine digitali.

C’è una cosa che colpisce in questo mare di scatti, ed è la loro natura celebrativa: lo statuto della natura, dell’uomo, è positivo così come è positivo lo statuto della fotografia il cui compito è appunto di celebrare la natura e l’uomo; un extraterrestre che conosca solo queste fotografie, potrebbe pensare che l’uomo viva nel paradiso terrestre, dove tutto è eccezionale e bellissimo: albe e tramonti, mari e montagne, campi e foreste, case e automobili, uomini e donne, bambini e animali, che riempiono album, libri e riviste di viaggio, tutte immagini colorate e patinate, accattivanti come le fotografie di piatti nelle riviste di cucina.

Guardando le fotografie esposte in questa mostra si capisce subito che non appartengono a questo mondo, che non intendono celebrare niente, se non forse l’imprevedibilità della vita che "è quella cosa che non assomiglia a nessun’altra" (Celati); si capisce che non sono belle fotografie di belle cose, quanto piuttosto fotografie di situazioni, racconti minimi come gli haiku giapponesi; infatti sono state scelte tra gli scatti più recenti di una campagna senza fine, quella che da dieci anni costruisce un Atlante Piemontese (1), con uno sguardo forse più da antropologo che da fotografo, curioso dei modi nei quali viene declinato il rapporto uomo-natura nelle trasformazioni in corso nelle campagne del cuneese: da quelli più semplici, odinari, a quelli insoliti, straordinari; sono queste immagini che nascono dalla abitudine, ormai radicata, di guardare al mondo con liliale candore, aperto alle sorprese inesauribili che un occhio innocente riesce a trovare anche nei luoghi più umili e trascurati (2).

Luigi Ghirri (3) è stato il primo a parlare della fotografia come "secondo sguardo sul mondo"- sguardo tecnologico, di una macchina, parallelo ma non coincidente col nostro - ma la fotografia può essere vista come secondo sguardo sul mondo anche solo perché il nostro sguardo al mondo fotografato è pure lui un secondo sguardo, che si sovrappone, si confronta con il primo sguardo, quello che abbiamo dato all’inizio al mondo reale, in un gioco di riflessioni che può portare ad interrogare il mondo attraverso la fotografia, attività virtuosa alla quale questa mostra, questo testo, vogliono invitare.

(1) Sisto Giriodi. Atlante piemontese. Celid. Torino. 2001

(2) Sisto Giriodi. Cancelli di Puglia. Barbieri. Manduria. 2008

(3) Luigi Ghirri. Infinito. Meltemi. Roma. 2001